lunedì 3 settembre 2007

benvenuti

Quando circa tre mesi fa abbiamo deciso di iniziare il progetto "diaframmi", non avremmo mai, neanche lontanamente, pensato che così tante persone si sarebbero aggregate intorno a noi, e che la nostra idea sarebbe stata sposata da un così ampio numero di menti. Ci sentivamo soli, due Don Chisciotte alle prese con furibonde battaglie contro infiniti mulini a vento, senza un minimo di aspettative verso la riuscita di un progetto di sì fatte proporzioni. E ancor meno, e lo diciamo con estrema franchezza, immaginavamo di poter fare uscire fuori dalle mura della nostra città (Castrovillari, per chi non lo sapesse) l'esperienza di "diaframmi".
Però, poi, la provvidenza ci mette sempre lo zampino, e aiuta gli audaci come noi.
I numeri del nostro blog salivano vertiginosamente; la città vociferava sempre più insistentemente circa la nostra iniziativa; la stampa e la radio si interessavano a noi; e la gente incominciava ad avvicinarsi, a conoscerci e a partecipare alle nostre estemporanee riunioni fatte per le strade cittadine.
E ancora di più! Un giorno, una mail inviata ad una vecchia amica crotonese, ci tornava indietro con una risposta di festante giubilo, complimentandosi per le cose che facevamo, che scrivevamo, per gli argomenti trattati, facendoci così sentire ancora più appagati perché il nostro stava diventando un cammino progettuale comprensibile e condivisibile anche all'esterno, anche da chi i problemi specifici che raccontavamo non li viveva, ma li sentiva ugualmente suoi perché identici a quelli che ogni giorno essa stessa affrontava. E' così che abbiamo tirato dentro "diaframmi" Maria Angela, prima, e Caterina, poi.
Oggi siamo orgogliosi nel presentare al territorio del crotonese il risultato di questa fortuita intesa con queste due splendide persone: "diaframmi Crotone - Calabria - Suditalia".
Speriamo così di poter contribuire, fornendovi uno strumento da noi già testato, a creare in voi tutti lettori del blog una visione critica e nuova del territorio nel quale vivete, una capacità nell'osservare le cose non più solo in superficie, ma dentro, nell'anima che hanno, diaframmando lo stereotipo dall'unicum, dividendo il già visto dall'inconsueto.
"diaframmi" è questo: un progetto comunicativo volto a raccogliere e catalogare gli elementi di una città, di un territorio, con metodi diversi da quelli del passato, scavando, scavando e ancora scavando fino ad arrivare all'essenza delle cose.
Buon lavoro dunque ai nostri amici crotonesi e buona lettura a voi utenti del blog.
Salvatore Dessì & Armando Garofalo

iniziamo a diaframmare

"Muore la parola
appena è pronunciata:
così qualcuno dice.
Io invece dico
che comincia a vivere
proprio in quel momento."
Emily Dikinson
diaframmi Crotone dà avvio alla sua prima sezione di partecipazione attiva.
Inviaci le tue foto (amatoriali o professionali), il tuo commento e le tue generalità all'indirizzo e-mail crotone@diaframmi.it.
Maria Angela Pugliano & Caterina Caligiuri

racconti di strada #1

ROCCA DI NETO.
Una cosa che capita spesso a molti di noi quando si incontra e si conosce gente nuova è sentirsi domandare “di dove sei?”. E immediatamente dopo, in modo quasi consequenziale, alcuni di loro, spinti da un’innata curiosità, vogliono sapere “com’è il paese (o città)?”.
Il più delle volte, per quanto mi riguarda, oltre a citarne il nome (direi in modo piuttosto distratto e solo per quelli “delle mie zone” che lo avrebbero associato al posto) o limitarmi a dire che è in provincia di Kr, qualche volta (raramente, per la verità) ho aggiunto che è un piccolo paese senza nulla di che.
Ma stanno veramente così le cose? Davvero Rocca di Neto non ha nulla di che?
E’questo uno dei motivi che mi ha spinta a chiedermi se conosco veramente il mio paese, le sue tradizioni, la sua storia, la sua quotidianità e soprattutto la sua gente. Ovvia la risposta alla mia domanda. Naturalmente no. O meglio conosco l’indispensabile, quanto basta. Ma quanto basta per cosa?
Mi sconvolge la totale indifferenza che finora ho dimostrato, quanto il lasciarmi imprigionare dalla ragnatela di assuefazione che avvolge il normale vivere quotidiano di una realtà come la nostra. E mi sono accorta (meglio tardi che mai) di come io non abbia mai fatto nulla per dare una scossa o una “vigorosa sterzata per tentare un’inversione di marcia”, per ricominciare da capo e cercare un cambiamento. In realtà l’unica cosa che mi ha da sempre contraddistinta, e credo la maggior parte di noi, è lo starmene lì tranquilla, lasciandomi scivolare tutto addosso, o al massimo pronta a lamentarmi ad ogni occasione della perenne rassegnazione che alberga in questo paese dal vivere piatto e che solo a tratti, e in pochi giorni dell’anno, assapora un po’ di “vivacità”.
Diaframmi ha avuto in tutto questo un ruolo fondamentale, trasmettendomi la voglia e l’entusiasmo necessari per “partire alla scoperta” di Rocca e dei rocchitani, di cogliere il bello e il brutto che essa offre, ma soprattutto l’anima e l’essenza in essa nascoste e che sono impercepibili e non visibili. Insomma, in poche parole, mi ha dato la chiave giusta e fondamentale per un nuovo modo di “leggere” il mio paese, cosa fondamentale per chi ha voglia, come me, di “cambiare le carte in tavola” e voltare pagina.
A differenza di quanto avrei fatto in precedenza, spinta da una nuova consapevolezza e abbandonato ogni pregiudizio, ho deciso di usare un approccio diverso e di guardare Rocca con distacco, quasi dal di fuori, vale a dire con gli occhi della turista, agire, questo, dettato prevalentemente dall’esigenza di essere il più imparziale possibile. Per questo motivo, per prima cosa, mi sono documentata sulla sua storia e su quelli che sono segnalati tra i posti da visitare.




Devo dire che la lettura è stata una piacevole scoperta e riscoperta di cose a volte scontate, a volte non conosciute, come il motivo che porta a chiamare “Casino” Via Rialto ( la presenza del Casino dei frati Certosini di S.Stefano), o la presenza di un antico convento agostiniano appena fuori dal centro abitato, o ancora quella di una Chiesa, ai più poco nota, in Via Terrate e altro ancora.
Così con la tipica eccitazione che contraddistingue il turista, alla luce di queste mie nuove scoperte e armata di macchina fotografica, ho dato inizio alla mia “esplorazione”, per vedere dal vivo le tante decantate beltà storiche di Rocca di Neto.
Naturalmente il rovescio della medaglia era lì in agguato e l’impatto visivo con il reale, nella maggior parte dei casi, non è stato positivo. Sorpresa? Non più di tanto, e chissà perché. Anzi avrei preferito smentite, o altro ancora, piuttosto che conferme.
Le foto parlano da sé. E’ impressionante lo stato di totale abbandono in cui versano alcuni di questi posti, luoghi di importanza storica “lasciati lì a morire e dimenticati da tutti”, luoghi “dentro” il paese, ma allo stesso tempo “fuori”, “luoghi di confine” come se fossero dimensioni a parte, diaframmati dal normale vivere quotidiano.
E mi sono chiesta… è questa l’immagine che vogliamo dare del nostro paese (non solo per chi ci vive, ma anche per quelli che vengono da fuori), quella di un posto “morto” nella sua tradizione storica (e non solo)? Pertanto, mi chiedo e rivolgo la stessa domanda a tutti voi, in che modo vogliamo valorizzare questa importante risorsa?
So perfettamente che a questo punto mi si potrebbe accusare di poca obiettività laddove accanto alle cose fatiscenti e decadenti non ho dato il giusto spazio a quanto di bello ci sia in giro. In fin dei conti sopra ho scritto che avrei cercato di cogliere il bello e il brutto che essa offre. È vero, il tutto non fa una piega, anzi. Ma parlare del bello in questo momento sarebbe fin troppo facile. Il bello è bello e non si discute (ci possono essere magari visioni soggettive differenti, ma l’oggettività della cosa di per sé bella è innegabile). Non sempre la stessa cosa può dirsi, invece, per ciò che di “dimenticato e sconosciuto” c’è nella nostra realtà.
Per questo appare di vitale importanza cercare con i loro cambiamenti e con la loro rinascita la giusta strada che farà rinascere con loro noi stessi, che ci renderà partecipi attraverso proposte e critiche costruttive del “loro e del nostro destino”. E nella visione dell’oggi proiettata al futuro dovremo fare della sinergia il nostro punto di forza.
Basta indifferenza cronica, basta incapacità d’agire, non credete?



Maria Angela Pugliano

racconti di strada #2



CROTONE.
Illusoriamente, dopo aver letto quanto sopra riportato nella sezione dedicata a Rocca di Neto, viene spontaneo pensare che la nostra situazione sia solo un ritaglio, uno spezzone di vita di una dimensione circoscritta, limitata e ignorante nel pensiero, un caso a parte che non si rende conto del potenziale a disposizione, non sapendolo gestire e sfruttare in nessun modo.
Troppo semplici queste assurde considerazioni. Lo dimostra il fatto che non bisogna andare tanto lontano, da una “realtà” come la nostra, per accorgersi che le cose non stanno così. Ma quel che ti dà da pensare, ed è più grave, è che il posto in questione non è un altro paese, ma niente poco di meno che il nostro capoluogo di Provincia.
Anche Crotone vive una situazione di “quasi oblio” per molti versi analoga a quella di un piccolo paese come il nostro.
Tra un turismo mai completamente decollato, abusivismo edilizio, tassi di tumoralità e di disoccupazione cronica e altri temi e problematiche che puntualmente rimbalzano all’attenzione di tutti è piuttosto facile “pescare”, tra le tante negatività che si agitano nel calderone, lo stato in cui versano posti di notevole rilevanza storica e ai quali non si attribuisce la giusta considerazione e non se ne “riconosce” la fondamentale importanza, magari troppo attenti ad altro e dando per scontato la loro presenza fisica … “sono lì…ci sono…e questo basta”. È tutto alquanto paradossale. Ci si è mai posti il problema o la preoccupazione di cosa fare affinché continuino ad esserci?

Per questo è decisamente vergognoso vedere come alcuni dei luoghi che decantavano la magnificenza e lo splendore culturale magno-greco, motivo di vanto e di orgoglio storico, siano in parte “abbandonati al loro destino” e solo marginalmente valorizzati.
Percezione del passato e realtà non coincidono. Ed anche in questo caso le foto lasciano trasparire immagini dal “sapore amaro”. Sgomento e stupore cedono spesso il posto ad una rabbia impotente. Perché?
È desolante visitare il parco archeologico di Capo Colonna, emblema dei resti dell’antico tempio di Hera Lacinia, e vederlo invaso da sterpaglia, logorato dal tempo e senza nessun tipo di accorgimento in termini di controllo o accoglienza turistica….. o il maestoso castello di Carlo V, limitato e riduttivo negli spazi da visitare, che attesta al suo interno la presenza di nuclei abitativi con antenne e paraboliche che ovunque sono visibili e che contrastano con quella che dovrebbe essere l’anima e il valore del posto…. O ancora l’area antistante l’ex Montedison o Pertusola sud che si potrebbe rendere fruibile ai turisti, vista la presenza del patrimonio archeologico del quartiere nord dell’antica Kroton custodito sotto questo mantello di terra, e che invece vede le diverse parti in causa, pubbliche e private, alle prese con dissapori e problemi circa le responsabilità per i vecchi operati e l’impellente necessità di messa in sicurezza, bonifica e risanamento di questi siti che risultano essere altamente inquinati. E ciò che si prospetta dinnanzi ai nostri occhi è un immenso pezzo di terreno incolto, invaso da erbacce, dinnanzi ad un’area industriale, per anni operativa tra mille problemi, che oggi presenta stabilimenti in fase di smantellamento e in gran parte dimessi e il cui stato dei lavori continua a non dare protezione ai danni provocati dal deflusso verso il mare delle acque di falda contaminate.
E questi sono solo alcuni degli esempi dello “stato di conservazione” (naturalmente in negativo) in cui versa il patrimonio storico-artistico-culturale di Crotone.
F. Nietzsche sosteneva che “l’arte esprime direttamente il divenire e la caducità di tutto ciò che è umano”. Ma qui è in gioco l’unica traccia concreta e vera che ci è rimasta e che ci lega all’antico splendore del nostro passato, quello che da sempre ha contraddistinto la nostra terra, le nostre radici, la nostra identità da tutto il resto. Non dobbiamo lasciare che questo diventi qualcosa di fugace, effimero e labile, ma dobbiamo preservarlo e conservarlo. Dovrà essere testimonianza di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà. Dovrà rimanere “eterno nel tempo”, come legame indissolubile e come ricordo di questa nostra terra fondata dagli Achei e diventata poi culla della Magna Grecia, in cui cultura, bellezza e arte si sono sapientemente fuse raggiungendo il punto massimo di splendore di ogni epoca a venire.
Maria Angela Pugliano

racconti di strada #3



CASABONA.
Eccovi la nuova avventura.
Questa volta il “mio viaggio” mi ha portata in un paese dell’entroterra crotonese, Casabona.
La scelta non è stata casuale, ma dettata dalla curiosità di vedere una cosa in particolare, le Grotte Rupestri.
Sono state soprattutto affermazioni di non poco conto, fatte in merito a questo sito, che mi hanno spinta a volerne sapere di più, affermazioni del genere “Cosa si aspetta a proclamarlo Parco Neolitico della Calabria? Cosa si aspetta a farlo diventare patrimonio dell’umanità?”.
Pretese e desideri senza dubbio ambiziosi e non semplici da raggiungere, soprattutto laddove dovrà esserne dimostrata l’effettiva valenza e autenticità storica.
Pare che Casabona si configuri come il più antico villaggio preistorico con un numero non indifferente di grotte (a sostenerlo alcuni studiosi che da anni si occupano di esse). Peraltro questo numero abbastanza elevato è facilmente visibile fin da quando si giunge alle pendici del paese o ci si addentra in alcune vie e zone specifiche (molte grotte denotano un cattivo stato di conservazione).
Ma per questi siti rupestri, di cui non si è in grado di indicarne con precisione l’originalità del periodo, si va avanti per deduzioni logiche o semplici assonanze. Questo per gli studiosi. Ma per le poche persone incontrate in giro per il paese si tratta solo di fantasie (devo dire che erano un po’ sorpresi da alcune mie considerazioni e domande, ma sono stati molto disponibili a portarmi in giro e a farmi visitare quelle che molto semplicemente definivano “le grotte dei maiali”).
Palese, quindi, l’incongruenza tra chi “studia e viene da fuori” e chi vive la realtà del paese.
Pertanto, come stanno effettivamente le cose in un posto come questo che manca di tutela, di fruizione o di “cantieri” che lascino immaginare attente e analitiche ricerche archeologiche e antropologiche condotte in loco? E, soprattutto, se davvero Casabona vanta una storia antichissima e possiede questa ricchezza non sarebbe il caso prima ancora di farlo diventare patrimonio dell’umanità, farlo diventare patrimonio della gente del luogo che per la maggiore ne ignora il tutto?



Maria Angela Pugliano

gente di strada #1

Dalla Luna al beach volley
Domenica 20 luglio 1969 - ore 22.20. Il modulo di comando e il modulo lunare si sono separati. Il momento decisivo è arrivato. Alle 4.57 (ora terrestre), Neil Amstrong mette letteralmente piede sul suolo lunare, mentre Edwin Aldrin, detto “Buzz”, lo segue a ruota e il povero Michael Collins gira in orbita intorno alla Luna aspettando i compagni sul modulo di comando (che sfiga!).
Sono passati 38 anni da quell’evento storico che cambiò il mondo. Da allora tutto si è evoluto. La politica, l’economia, la finanza, il Polo nord, il Polo sud e i ghiacciai alpini, l’ornitologia, la scienza e la tecnologia, la ricerca del Graal, l’Europa, la Cina, l’Inter. Le stesse esplorazioni spaziali ci hanno fatto vedere immagini da Marte.
A Rocca di Neto, ogni anno ad agosto, l’amministrazione comunale di turno, stila il programma de “l’agosto rocchitano”, serate all’insegna della musica, intrattenimenti con spettacoli vari e altro ancora.
L’obiettivo sembra quello di rendere vitale un paesino che certamente ha bisogno di stimoli e allietare le calde serate agli abitanti della comunità e ai loro figli e figli dei figli, molti dei quali, come chi scrive, si trova per il resto dell’anno a lavorare altrove.
All’interno di questa manifestazione, da due anni si organizza il torneo di Beach Volley, che ha avuto un buon seguito, di pubblico alla prima edizione, di squadre alla seconda. Tutto sommato una buona iniziativa, divertente e condivisa.
Ma una voce, che nel caos agonistico, ha attirato l’attenzione di molti, chiedeva “perché le donne non partecipano mai?”. Bella domanda!
Hanno vergogna (che tradotto significa che sono troppo timide)? Hanno paura di fare brutta figura? Oppure nessuno le ha invitate? Nessuno si è preoccupato di organizzare lo stesso torneo nella versione femminile?
Domande per rispondere ad una domanda. Per farla breve, le donne non partecipano perché non organizzano. Non lo fanno perché non sono attive nella partecipazione degli eventi. Non sono assenti, sono auto-escluse.
Il torneo di beach volley è una scusa per toccare un argomento che può essere considerato veramente serio e sicuramente molto più ampio. Ci sarebbe da considerare non soltanto l’aspetto pratico della partecipazione delle donne, ma anche il complesso contesto sociale nel quale questa dovrebbe avvenire.
Certo le donne e le ragazze a Rocca di Neto non sono “La donna del soldato” di Bertolt Breacht, ma sicuramente dovrebbero essere più propositive e partecipative e quindi protagoniste, piuttosto che rimanere solo spettatrici.
Per questo motivo potrebbe risultare utile, se non decisivo, il dialogo, lo scambio di idee e di opinioni, da ricercare magari nelle varie forme di associazionismo e attraverso la comunicazione con tutti gli interlocutori istituzionali, sociali, religiosi e chi più ne ha più ne metta. Ma anche in questo caso è necessaria l’azione attiva da parte delle donne.
Il vento al Polo sud soffia soltanto da un’unica direzione: il nord. Perché ci sia la presenza femminile nelle cose della vita è assolutamente necessario che siano esse stesse ad intraprendere le iniziative o a pretendere le condizioni perché possano avere un ruolo attivo.
Nel prossimo torneo di beach volley si potrebbero vedere le ragazze che giocano a pallavolo con squadre agguerrite e non nel tentativo di varcare abissi di indifferenza, di gelosia e di ignoranza, ma semplicemente, per partecipare.
Se ciò avverrà, allora, come Neil Amstrong, potremo gridare tutti insieme: è un piccolo passo per …la donna, ma è un salto da gigante per….la comunità.







Enzo Dattolo

gente di strada #2


Lunedì 24 settembre. E’ pomeriggio. Sono da poco giunta a Crotone. Ad aspettarmi una mia amica. La prima (ed unica) volta che ci siamo recate al centro storico è stato tantissimi anni fa, quando ancora studentesse liceali la scuola ci portò al Castello di Carlo V ad ammirare il diadema di Hera Lacinia. La visita naturalmente rimase circoscritta, non ci avventurammo altrove.
Ora, però, a distanza di anni è arrivato il momento giusto per farlo.
Mentre ci incamminiamo ripensiamo ad alcuni discorsi condivisi la sera precedente con una ragazza che vive in questo posto, vale a dire l’essere messe in guardia dal fare attenzione alle “persone poco raccomandabili” che vi si aggirano o ai tanti stranieri che ormai ne hanno invaso le abitazioni un tempo abbandonate; al fatto che ovunque per le strade avremo trovato ammassi di immondizia e di sporcizia; ecc.ecc.ecc…. insomma un bell’elenco.
Il nostro peregrinare per le innumerevoli “viuzze”, però, è stato per la prima volta una smentita a quanto avevamo udito. Per carità non mettiamo in dubbio quanto ci è stato riportato. Un conto è viverci, un conto è fare una passeggiata. Sono cose completamente diverse, è l’approccio che cambia.
In effetti, da che mondo e mondo, i centri storici di molte città, al pari delle periferie, sono additati come posti malfamati da evitare. Soliti luoghi comuni che vanno di pari passo con i numerosi piani di recupero e di riqualificazioni per migliorarne la vivibilità socioeconomica e per ridarne lustro in chiave di attrattiva turistica.


Addentrandoci al suo interno, vero cuore simbolico della città in cui vecchio e nuovo si mischiano, è facile riscoprire una dimensione a misura d’uomo. Ovvio che al nostro sguardo curioso che vaga un po’ ovunque non sfuggono gli innumerevoli ed antichi edifici che, ormai abbandonati e fatiscenti, cozzano con altrettanti edifici ristrutturati dai colori sgargianti; e neppure la pavimentazione inesistente che ha ceduto il posto all’asfalto; o altro ancora.
Ma ciò che in questo spaccato di vita reale attrae maggiormente la nostra attenzione è la scoperta di arti e mestieri perduti. Esempi? Il minuscolo laboratorio di un artigiano che costruisce, intarsiando il legno, bellissimi presepi e riproduzioni di vario genere. Un signore di poche parole che ci lascia curiosare e fotografare la sua arte fatta sapientemente a mano. Oppure andare avanti e vedere un’insegna di un negozio recante la scritta “Il Liutaio” antico mestiere anch’esso andato perduto. Sorpresa ancora più grande il trovare un giovane ragazzo ad accoglierci al suo interno, che ci parla di sè e ci spiega di cosa si occupa.
Ecco, questa sarebbe una bella idea per rianimare il centro storico crotonese. Creare sapientemente ad arte botteghe che riscoprano vecchie tradizioni ormai scomparse o anche semplicemente farne un luogo di incontro che vada a ricercare e ristabilire quel contatto tra la gente, fatto di cose semplici, che ormai è andato perso.



Maria Angela Pugliano

luoghi di confine #1

Eccolo lì disteso nel suo lettone, quel lettone dove spesso da piccola mi rifugiavo tra lui e nonna e me ne stavo ore a dormire beata, coccolata e amata.
Sta poco bene ultimamente, ma appena mi vede si rianima e gli brillano gli occhi perché sa che a breve inizierà a “farmi da Cicerone” sulla sua chiesa preferita, Santa Maria della Terrata o Chiesa della Terrata come la chiama lui. Me ne ha parlato tante volte soprattutto da quando non riuscendo più a leggere bene si è cimentato nel disegno. Ed è da queste riproduzioni dai colori vivaci, a volte impossibili e improbabili che ho appreso le sue fattezze.
Voi non conoscete il mio adorato nonno. Ha 95 anni, mente spigliata, attenta, curiosa e lucida (è un fenomeno con le date ed io non so come faccia alla sua età) e adora la storia, soprattutto quella calabrese. Ed è attraverso il suo racconto, attraverso “i suoi occhi” che voglio farvi, in parte, conoscere questa Chiesa. Avevo pensato di registrare ciò che mi avrebbe detto, ma così avrei perso “essenza e sfumature” del racconto. Per questo preferisco “perdermi” nelle sue parole, attenendomi alla “sua” ricostruzione e se si noterà una poco efficace cronologia, qualche lacuna storica o qualche contraddizione in termine spero non me ne vogliate. La vera autenticità sta proprio nel racconto di questo vecchietto di 95 anni che vuole quasi prendermi per mano e “portarmi a spasso nel tempo”. Di conseguenza mi sembra banale starmene lì a correggere eventuali errori o ad utilizzare un linguaggio forbito per impressionarvi, si falserebbe ogni cosa.
Nonno quando parla è un fiume in piena, inarrestabile e sta lì che cerca costantemente, attraverso lo sguardo, la completa attenzione dell’interlocutore che ha dinnanzi. Sorrido perché appena gli dico “nonno allora da dove cominciamo…” diventa subito serio e composto e con una velata nota di nostalgia mi fa “dovevi vedere quanto era bella una volta questa Chiesa… Santa Maria della Terrata (e lo dice alzando il flebile tono di voce dando un che di imperioso…. Quasi a volermi impressionare sull’importanza indiscussa della Chiesa)…. Non vederla ora in questo stato ( e muove la mano puntandomi in dito contro in segno di ammonizione, quasi leggendo la mia titubanza dinnanzi alle immagini di un edificio fatiscente e senza senso di cui ne sono venuta a conoscenza solo grazie a lui) ma una volta…una volta….”





Si interrompe e vaga con il pensiero nei suoi ricordi….”sai che la sua cupola è quasi unica, se non unica, nel suo genere qui in Italia?... è di origine bizantina ed è fatta a mosaico con vetri colorati…. Ne sono venuto a conoscenza alcuni anni fa tramite uno studente romano che si era recato qui per la sua tesi di laurea…..anche un personaggio famoso, Sgarbi, aveva offerto del denaro per entrarne in possesso e riportarla all’antico splendore…..”
“Della storia della chiesa so poche cose, cose lette su alcuni libri che però dicevano poco e niente….è stata edificata sui resti dell’abbazia nel 1778…. Ma si hanno notizie circa la sua esistenza da tempi anche più lontani, come testimonia una bolla che concedeva l’indulgenza a favore di coloro che la visitavano…tale beneficio era stato accordato nel 1543 dal Papa Paolo III al cardinale Filonardi….ma citazioni compaiono in molti altri atti degli eremiti che vi abitavano anche se le notizie circa la fondazione della grancia o con quali condizioni e obblighi fosse sorta non si sanno….una cosa certa che si conosce è che l’abbazia in precedenza durante il duecento era filiale del monastero normanno della Sambucina dell’ordine dei Cistercensi, ma nel 1216 Papa Onorio III tolse la filiale alla Sambucina e la passò all’ordine Florense…. Diciamo però che la sua importanza è da ricondursi al 500…. In quel periodo è stata amministrata da abati commendatari mandati dal monastero di San Giovanni in Fiore, da cui la grancia dipendeva…. Ma essa, servita per lo più da un eremita, essendo costosa sia nella manutenzione (era costituita dalla Chiesa, da una casa e da un piccolo pezzo di terra) sia nel mantenimento di un cappellano ha fatto sì che l’ordine di San Giovanni in Fiore facesse in modo che un religioso vi dimorasse stabilmente. Da lì la sua autonomia che la portò ad assumere la ferma di un vero e proprio monastero autonomo…. Questa, diciamo, è a grandi linee la parte centrale della sua storia o almeno quella che conosco io…… poi per il resto ciò che so è legato alla mia vita….”
Si interrompe di nuovo e stavolta più a lungo. Sorride, ha uno sguardo strano e sembra che si riperda nel viaggio dei suoi ricordi. Riprende a parlare…” da piccolo andavo spesso lì…. Insieme ad altri bimbi….spiavamo sempre quell’edificio, a volte anche ci intrufolavamo….c’era il tipico odore delle chiese mischiato all’incenso e con occhi sgranati, curiosi e affascinati osservavamo tutte quelle cose, avevamo quasi paura a toccarle….. bellissime …mica le nostre case erano in quel modo…. Ma al minimo rumore scappavamo per paura di essere beccati o sgridati o cacciati a pedate…..”…e sorride sornione come un bimbo beccato in flagrante…si ferma e sospira…..” a volte me ne andavo sulla parte alta di un edificio lì vicino, mi stendevo a pancia in giù a terra e stavo immerso ore e ore a guardare la “cappella dorata”….accanto alla chiesa una volta sorgeva il cimitero e lì c’era una cappella maestosa…bellissima…d’oro colato…..ma ora non c’è più”…. Lo sguardo si rattrista, sbruffa… ma dura poco perché riprende a sorridere quando mi dice “un momento che ricordo con piacere è la processione per la benedizione delle Palme….si correva, si faceva a gara a chi avesse il ramoscello più grande….a volte erano anche più grandi di me….”…e lo dice quasi orgoglioso…tace….e pensa….
“Dopo il terremoto del ’32 cessò di essere di proprietà della chiesa…. Un nostro compaesano, pare per intercessione presso la sede centrale della diocesi di Santa Severina, riuscì ad acquistarla e da allora rimase di sua proprietà….ora lui è scomparso e, non vorrei sbagliarmi, le chiavi per accedere all’interno di quel posto sono state ridate al nostro parroco…ma non sono state celebrate più funzioni in quella chiesa da quando ero piccolo io…”
“Ne ha viste tante questa chiesa, nemmeno puoi immaginarle….pensa che c’è stato un periodo in cui ha fatto da stalla a molti animali….” All’improvviso mi fa…”Sai che a Rocca una volta c’era il cinema?” Acconsento. Infatti mi ha sempre sorpreso il fatto che un paese piccolo e chiuso come il nostro avesse in qualche modo precorso i tempi addirittura con un cinema. Ma ora non capisco che centra il cinema. E lui…”ebbene”, notando la mia perplessità, come a volermi svelare quasi un mistero, “il cinema era esattamente nella chiesa…..”….e devo dire che la cosa mi sorprende e non poco…….”che altro dire…..chiuso il cinema si chiude definitivamente la storia di questa chiesa”…..
Lo guardo sorpresa. Un finale lapidario e sintetico. Non dice altro. Gli sfugge solo un “mah” che esprime tutto. Rammarico per ciò che è stato e che non è più, monito per la totale indifferenza per ciò che c’è e che potrebbe essere. Questo è ciò che si legge nel suo sguardo, lo sguardo di un vecchietto che da bambino ammirava ammaliato un “castello incantato”, un castello bellissimo da favola che ora è andato in rovina.
Attraverso queste foto potete vedere l’attuale stato di quella che un tempo era la chiesa amata da mio nonno. E la cosa che dà da pensare non è soltanto lo stato di totale abbandono, quanto la totale ignoranza in noi giovani circa la presenza e l’esistenza di questo posto che è proprio lì, sotto il nostro naso, sotto i nostri occhi. Ci passiamo sempre vicino percorrendo centinaia di volte la strada che porta al paese. Ma chiunque sappia che quell’edificio decadente e fatiscente, che non abbiamo mai guardato con attenzione, in un passato nemmeno troppo lontano in realtà era una chiesa, beh rimane totalmente allibito.





Maria Angela Pugliano

luoghi di confine #2

Sapete dove si trova il posto che si vede nella foto qui sotto?
I miei compaesani lo sapranno di sicuro dato che è esattamente al curvone della strada principale prima che si acceda al centro del paese e volgendo lo sguardo a sinistra è impossibile non notarlo….o forse sbaglio!!??
Ora però osservate attentamente la foto, cercate di cogliere più particolari possibili.


Con questi due primi piani vediamo se parte delle vostre impressioni visive erano esatte e se si arricchiscono di nuovi dettagli.



Allora:
- spazio abbandonato a se stesso e per molti versi sporco;
- erba alta e incolta;
- una sola sediolina all’altalena dall’aria non tanto sicura;
- mancanza della testa del cagnolino dall’altro lato del dondolo;
- sedie girevoli messe alla buona su grandi sassi;
- …….
E poi? Finito? Null’altro?...siete sicuri? Riguardate le foto…. Cosa manca…pensateci bene.
Manca la cosa fondamentale….loro….i bambini.
A questo punto sembrerebbe che mi venga “servito su di un piatto d’argento” il la per dare inizio ad uno dei discorsi che tiene ormai banco tra psicologi, studiosi di qualsiasi genere, media e altro ancora… “La società è cambiata… i bambini sono cambiati.. sono sempre più super-impegnati tra scuola e altre attività e presi anch’essi dalle nuove “diavolerie” tecnologiche non hanno più il tempo per giocare… soprattutto all’aria aperta”.
Non sempre è così. L’altro giorno, ad esempio, in questo stesso posto c’erano 5 bimbetti che correvano felici e contenti avanti e indietro, incontenibili nella loro energia.
Qualcuno ora dirà: “Va bene… se le condizioni di questa “villetta” sono così rimane sempre l’altra”. Ok, andiamo all’altra, ubicata nella parte bassa del paese.
A parte una scarsa pulizia, sono da apprezzare la gioiosa “pittura con mani”, così come un bel po’ di verde che dà colore al grigiore del cemento a terra. Ma qui ad esclusione dell’altalena messa all’angolo, sembra tutto tranne che un posto per i più piccoli.


Per cui saranno sì cambiati i tempi, i bambini giocheranno pure in modo diverso, ma ci si è mai soffermati a pensare che qualora qualche mamma, soprattutto durante le belle giornate, voglia portare fuori i più piccoli non abbia un posto per farlo? Un angolo come questo creato ad hoc per il loro svago o anche quando c’è lo si lascia ridurre in questo modo?
Per cui perché non iniziamo proprio “dai” più piccoli e “per” i più piccoli a cambiare il nostro paese? Regaliamo loro spazi all’aria aperta dove potersi ritrovare e giocare liberamente e serenamente.


Maria Angela Pugliano

P.S.: Fino a martedì 16 ottobre la situazione era questa. Ma da ieri ho potuto constatare con piacere che almeno si è provveduto a liberare il primo posto dalle varie erbacce. Bisogna aspettare così tanto a farlo anche la prossima volta?

interferenze #1

“Sii sempre come il mare: quando le onde s’infrangono contro gli scogli non muoiono, ma trovano la forza di ricominciare”. Questa frase carica di significato, dal punto di vista tecnico, è la prima cosa che ti insegnano in un corso universitario di Regime e Protezione dei litorali.
Vuoi vedere che dietro ogni nozione, ogni teorema e legge fisica che ti viene proposta c’è una lezione di vita? .... rifletto…no!!!
Nessuno si preoccupa di avvisarti che concluso un importante ciclo di studio quello che ti aspetta è solo un limbo! Nessuno ti dice che nonostante tu sia una persona brillante, un giovane professionista per te ci sono e ci saranno dei punti inaccessibili.
Quello che ti aspetta dopo è una lotta per poter cercare “solo” di mettere in pratica quello che hai imparato. E’paradossale. Dovrebbe essere un diritto, ma la cosa più grave è che nella nostra realtà, purtroppo, non è una lotta ad armi pari.
E’come partecipare ad una corsa automobilistica dove in palio non c’è una vacanza, ma un lavoro.
Allora… siamo tutti sulla griglia di partenza, si iniziano a notare le prime cose strane. Non c’è un unico semaforo che decreti l’inizio della competizione ognuno ha il suo….bha… lo faranno forse per una questione di maggior precisione, forse chi parte ultimo non vede bene… (come sono buoni!!).
Sta per iniziare la gara…. il semaforo è rosso… sta per scattare il verde…cosa?....ti guardi in giro e ti accorgi che solo alcuni hanno il colore della speranza, solo ad alcuni è concesso partecipare… ti alteri, ti dimeni… scendi dall’auto e vai dai commissari, quello che è successo non è giusto, è un’ingiustizia, gridi allo scandalo…ti eri preparato per quella gara da tanti anni…
…..arrivi.. lui è una persona anziana con i capelli bianchi.. pensi.. quanta esperienza avrà… sarà un saggio…gli dici…”quando si ripete la partenza, non è ammissibile quello che è successo”.. lui risponde con tono stizzito…”se lei è daltonico non è colpa mia”…e tu pensi… daltonico? È una barzelletta…daltonico io che da piccolo anche con una visibilità scarsa riuscivo a distinguere in maniera netta i sette colori dell’arcobaleno….
Maria Teresa Pugliano

interferenze #2

Rispetto……………cos’è?????
Forse non è giusto che ve ne parli io in quanto essere umano ma ahimè la parola agli animali non è stata donata o meglio forse noi non siam capaci di comprendere il loro linguaggio e quindi proverò a trattare l’argomento sperando che almeno un vostro piccolo pensiero vada ad esso e non vi fermiate alla sola lettura, perché le parole è vero son armi ma a volte si trovano di fronte soggetti invulnerabili.
Se ci voltiamo indietro e guardiamo nel nostro passato scopriremo che la parola “rispetto” è un vocabolo usato pochissimo dall’uomo …….è vero troveremo tante belle parole, tanti bei discorsi……ma i fatti??? Eh si …caliamo un velo pietoso e cerchiamo di appropriarci di questo verbo:cambiare,cambiare,cambiare. E di solito quando ci troviamo interpellati in questo modo la nostra reazione si limita al dire: “Ma proprio io devo cambiare???E gli altri??”.
Gli altri son altri te che si fossilizzano nella stupida idea che noi non possiamo cambiare il mondo e che ognuno di noi non può remare contro una collettività sbagliata. Eh bhè facile così…ma noi quando ci prendiamo le nostre responsabilità??? Quando cominceremo a pensare che se magari cambiamo noi cambieranno anche gli altri??
Sapete quale è il problema?? Che noi non pensiamo con la nostra mente, ma pensiamo con la mente altrui perché se sbagliamo in fin dei conti non avremmo sbagliato noi,ma sarebbe la collettività ad aver sbagliato e comunque essendo quello il pensiero comune sarebbe comunque giusto. Lo ripeto: troppo facile, non credete???
Forse solo Ghandi e pochi altri vi avrebbero potuto dare una giusta risposta ,perché la storia ce lo insegna nel bene e nel male, un uomo può smuovere le masse e può portare quell’aria di cambiamento di cui si parlava prima..
Io direi che per cercare di “cambiare” dovremmo cominciare a fare una bella cosa: togliamo dal nostro vocabolario la parola “POSSO” e sostituiamola con la parola “VOGLIO” e vediamo quel che succede; quindi cominciamo a dire voglio farcela, non posso farcela, voglio emergere non posso emergere, voglio essere un aiuto per gli altri non posso essere un aiuto per gli altri; a voi forse non sembrerà ma questa differenza è sostanziale quindi vi consiglio di correre di corsa nella vostra libreria e depennare il verbo volere dal vocabolario (se vi pentite di questa azione, tranquilli vi risarcisco io del danno subito).
Quindi vi consiglio di cominciare a diffondere il vostro pensiero, di cercare di farvi ascoltare dagli altri, perché anche se avete una voce fioca le parole volute son le più forti.
A stare zitti non si sbaglia mai,ma io ho intenzione di sbagliare,perché io sbaglio essendo consapevole che quel che faccio lo VOGLIO e quel che dico è un mio pensiero, non è pensiero comune (scusate se ci ritorno su questa cosa ma a volte penso che chi ha dato l’appellativo di “pastore” a Dio si sia guardato intorno e abbia notato che siam tutti “pecore” e ciò che fa uno di noi lo fan tutti).
A volte credo che se Filippo Pananti (poeta esule della fine 18esimo secolo, inizio 19esimo) fosse vissuto nella nostra società avrebbe notato che il suo celebre aforisma (cioè frase celebre, lo so che lo sapete il significato,ma ricordarvelo mica guasta) non avrebbe più valore di esistere, infatti lui disse: A CHI UN SEGRETO? AI MUTI E AI BUGIARDI, I PRIMI PERCHE’ NON POTREBBERO PARLARNE, I SECONDI PERCHE’ NON SAREBBERO CREDUTI!!!!
E invece no!!!! Noi ai bugiardi gli crediamo,e a volte per seguire il loro pensiero, distruggiamo quello di quelli che magari son onesti e hanno il grosso difetto di esserlo forse troppo, perché viviamo in un mondo che gli onesti se li mangia a colazione e non gli rimangono mai sullo stomaco, perché uno stomaco forse questo mondo non ce l’ha!!!!
Che mondo ci aspetta???? Che mondo porterà in grembo i nostri figli??? Questa è una domanda che forse tutti ci poniamo,poi ci guardiamo intorno…..osserviamo con occhio critico i comportamenti, gli stili di vita, il pensiero di questa società e la nostra risposta non sarà che scontata e tragicamente negativa. Anche qui dobbiamo CAMBIARE, ci vuole una sferzata di ottimismo, una ventata di positività…pensiamo al nostro futuro come ad un bel futuro,cerchiamo di dipingerlo con i colori più belli, e cominciamo a pensare che questi colori accompagneranno anche i nostri figli.
E’ giunta l’ora di concludere questo articolo,anche perché il mio scopo non è di certo annoiarvi, però vi voglio lasciare con la speranza che un pensiero, anche piccolo ve lo siate fatti e che quello che quello che ci attende sia veramente un mondo migliore.
Domenico Cardona

dimensione natura #1

Nelle nostre zone esistono ancora posti solo marginalmente “violati” (e per fortuna direi) dalla “longa manus” dell’uomo. La foce del fiume Neto è uno di questi casi.
Il fiume, il cui letto fiancheggia da vicino il nostro paese e a cui ha dato in parte il nome, con ritmi stagionali di piena e di secca, “vive la sua vita” e lascia che le sue acque scorrano placidamente fino al mare. Ma in diverse circostanze, e con molti danni, ha dimostrato quanto sia impossibile a volte contrastarlo, avvertendo “l’uomo dominatore”.
Una peculiarità che per molti versi lo rende speciale è l’incantevole bellezza di alcuni tratti del suo lungo corso, bellezza che ti toglie il fiato e da contemplare, tratti dal “sapore” incontaminato, posti selvaggi, misteriosi e affascinanti in cui è facile riscoprire e riassaporare il proprio senso di appartenenza alla natura.
Una sensazione strana addentrarsi nei suoi meandri. Una pace estrema, un vivere fuori dal mondo e dalla quella dimensione del quotidiano che ti risucchia inesorabile nel suo baratro di stress e di tempo-denaro facendoti perdere di vista molte cose. E ti accorgi di quanto possa essere bello, rilassante e rigenerante “perdersi” in quel silenzio a momenti interrotto dal cinguettio degli uccelli, dallo scorrere delle acque, dall’odore dell’erba e degli alberi o ancora dallo stesso vagare curioso dello sguardo, magari rivolto verso l’azzurro del cielo che, presi da altro, nemmeno più osserviamo. Ed è ancor di più incantevole, quasi irreale, lasciarsi cullare in questa diversa dimensione che scandisce lentamente il tempo e ti estranea da tutto e da tutti. Sei solo tu e la natura.
Bella esperienza quella che ci ha fatto percorrere a tratti il fiume per raggiungere la sua foce. Difficoltà impressionante per trovarla, non quanto l’avventurarsi in stradine di campagna disperse, inaccessibili e impraticabili. Ed è altrettanto sorprendente alla fine di tante peripezie ritrovarsi dinnanzi a turisti stranieri che erano lì in campeggio e ti chiedi…”ma come ci sono arrivati?”.
Questo posto ha creato ampio dibattito e dissapori tra chi sosteneva il mega e faraonico progetto “Europaradiso” e gli ambientalisti che cercavano di proteggere quest’aria prioritaria in termini di biodiversità, proprio per l’alta valenza naturalistica e ornitologica.Personalmente, a noi, che l’escursione ha regalato intensi attimi di quiete e di calma interiore ed esteriore, ci piace vederlo e immaginarlo come un posto da valorizzare e non da devastare, ricercando uno sviluppo sganciato dalle vecchie logiche che hanno determinato lo scempio di molte parti del paesaggio calabrese. Il tutto magari creando un tracciato conforme e adeguato al contesto, attraverso interventi ad hoc che possano implementarne la bellezza e la fruibilità, in una cornice sapientemente costruita che ne preservi e ne lasci intatta l’indiscussa magnificenza.




Maria Angela Pugliano

energie #1

Quando mi è stato proposto di aderire al progetto "diaframmi" e collaborare alla costruzione di un blog che mettesse in evidenza per prima cosa le pecularietà di Rocca di Neto, e di Crotone più in generale, immediatamente mi sono venute in mente molte cose negative, piccolo paese del crotonese, senza nessuna attrattiva apparente, ponte tra la Sila e il mare dove molta gente passa senza vedere.
Però non volendomi incastrare nel solito cliché, mi sono sforzata invece di cercare le cose positive, che molte volte sono sotto gli occhi di tutti ma difficilmente si riconoscono. E così ho cominciato a rivisitare con la mente non solo luoghi ma anche i molti amici che hanno dovuto abbandonare la nostra terra e negli anni settanta sono approdati, ancora ragazzi a seguito delle famiglie, nel triangolo industriale.
Complice il mese di agosto che con il suo turismo di ritorno porta a casa molte di queste persone ho incontrato Salvatore Zito, eclettico ed autorevole pittore dalla fama nazionale ed internazionale, esempio di chi con la propria arte ha esaltato non solo la propria appartenenza a Rocca di Neto, ma la calabresità tutta.
Nei quadri di Salvatore si colgono quei colori così forti che colpiscono gli occhi, il rosso e l’oro dei nostri tramonti, l’azzurro del mare. E la ricca ed intensa cromaticità rappresenta una delle caratteristiche fondamentali della sua pittura, così come il possente impatto visivo per chi si ritrova ad ammirare le sue tele le cui dimensioni hanno anche sfiorato i 5 metri.
Avendo dalla sua una grande e gioiosa comunicazione visiva per la semplicità dei soggetti e degli oggetti che prende dal nostro vivere quotidiano, Salvatore, con la sua tecnica spettacolare, rappresenta la nostra prima ENERGIA.




COME E’ BELLA LA MIA PITTURA
E’ BELLA LA MIA PITTURA
E’ LA MIA PITTURA
E’ LA PITTURA

Caterina Caligiuri

dietro l'angolo #1

Sembrano stare proprio lì dietro l’angolo… insoddisfazione, disagio.
Un sussurro continuo, un vociferare costante si dirama e avvolge una piccola folla “scesa in piazza” a manifestare per “dire la propria” riguardo ad alcuni argomenti.
La piazza, da sempre, ha rappresentato il luogo per eccellenza della riunione, dell’incontro, il luogo dove ci si è battuti per conquistare diritti o anche semplicemente per protestare.
Ora che molte di queste proteste, che costantemente vediamo, siano condivisibili o criticabili non spetta a noi in questa sede giudicarlo. Ognuno ha la propria libertà di pensiero, di opinione, libertà di provocare reazioni per scuotere la perenne immobilità delle cose, ecc…ecc….ecc…. in fin dei conti siamo o non siamo in democrazia?
Noi crediamo solo che tutto questo debba rappresentare un monito per chi in quel momento ricopre i cosiddetti “posti di comando”, affinché ogni singola voce venga ascoltata e con interazione e dialogo costruttivo si arrivi al benessere della collettività che crediamo essere in assoluto la cosa più importante rispetto a qualsiasi altra questione.
Detto così sembra fin troppo facile …sedersi ad un tavolo e discutere. Ovvio che ci sarà sempre qualcuno scontento, una voce stonata che dissentirà da tutto e da tutti. Ma in ogni caso perché non tentare? Come suol dirsi “tentar non nuoce”. Il venirsi incontro però dovrà esser sentito e cercato, nel pieno rispetto, da ambo le parti, non credete?


Maria Angela Pugliano