martedì 29 gennaio 2008

diaframmare con noi #3

LE NOSTRE TERRE, AMICIZIE SENZA DISTANZA.

I valori. Le tradizioni. La cultura. L’essere attaccati a qualcosa di concreto. I rapporti forti. Tutto, oggi sempre di più, sembra merce in esaurimento, in deperimento, in evaporazione. Se ci si guarda intelligentemente un po’ intorno ti acceca quasi la percezione di queste realtà. Da molti punti di vista il modo in cui ci si confronta col mondo tangibile quanto con quello più immateriale ed etereo tende a sbandare verso la precarietà e la superficialità, la velocità; e questo è un fatto. Il pessimismo/realismo di fondo che dovrebbe, bonariamente ed obiettivamente, pervadere nel fondo le nostre esistenze, quelle che un inquieto Pessoa chiamava “viaggi sperimentali fatti involontariamente” – e chi potrebbe dargli torto? definizione azzeccatissima ed incontrovertibile -, viene mascherato sempre di più e più o meno razionalmente o volontariamente da una miriade di apparenze, di apparenti quanto fragili rifugi, da veli, da maquillages più o meno sfacciati e appariscenti; poche cose si salvano da questo camuffamento generale e generalizzato. E quando capita di trovarsi difronte a quello che a stento riesce a rimanere schietto e grezzo, beh non ci si può non meravigliare, se ben si guarda. Due tra questi baluardi che mi succede spesso di mettere a fuoco sono due aspetti diversi nella loro fisicità quanto nella fonetica ma incredibilmente assonanti nelle loro radici, a compenetrarsi tra loro. Quelle di uno forse a costituire quelle dell’altro, ad esserne il presupposto. L’amicizia ed il legame con la propria terra, con le proprie origini, certo dal punto di vista affettivo e dei ricordi ma anche proprio da quello materiale, dell’essere parte di un territorio, di una “parte di popolo”, di una zona, di un paese, di un quartiere, di un dialetto, di odori e profumi, di una gente, di un carattere, di uno stile di vita quasi. Ed ecco che mi viene proprio da intendere quello che comunque lega ciascuno di noi alle nostre terre di origine come un’amicizia di vecchia data. Amicizia che poi come tutte le amicizie muta, cresce, si ispessisce o si deteriora via via, magari si dimentica, sfuma, si rinnega anche, ma….c’è stata, ci ha dato una sua inconsapevole impronta e bene o male ce la porteremo sempre con noi. Casa è casa, c’è poco da dire. E il passato, le origini di noi stessi, la famiglia, sono nostri componenti. E quando ci si imbatte in chi fa della propria quasi un baluardo – certo, lasciando perdere sciocchi ed anacronistici campanilismi che come tutti gli “ismi” hanno sempre un non so che di non buono - beh è una cosa fortunata per molti e non per tutti, di cui prendere atto, soprattutto se appunto la si incastra in una realtà come la odierna, dove l’omogeneizzazione, la globalizzazione e la s-personalizzazione sono quasi divenuti le norme di un regolamento universale. E questo continua a sopravvivere quando tutto, tanto, gli va proprio contro: prodotti e pubblicità sempre più trasversali, un concetto di lavoro che spinge quasi forsennatamente all’essere flessibili, ubiqui, pronti a un “dappertutto” che poi è facile tramutare in un “da nessuna parte”, linguaggi che tendono all’omologazione ed ai travasi, non solo nazionali ma inter-nazionali pur’anche inter-continentali, stili di vita con dei “modelli” ben precisi e sempre più diffusi e forti. E nonostante questa guerra alla sopravvivenza, come un fiore che continua a germogliare in mezzo ai ghiacci, il legame con la propria terra c’è, più o meno saldo e più o meno buono, e continua, l’amicizia, che si mantiene costante o si rispolvera e riscopre con gli anni, che in fondo – ma anche in superficie – fa parte di noi.Ed ecco ancora che non bastano lontane distanze, magari dovute alla fatidica “flessibilità” o al fatto che del lavoro che vogliamo/dobbiamo svolgere la nostra terra non ne vuol sapere di offrircelo o a scelte affettive o a qualunque altra causa, a separarcene; non bastano, e prima o poi o durante i nostri rispettivi cammini ci si ritorna. Geograficamente o no, coscientemente o no, anzi forse non ce ne separiamo mai. E allora anche se non ci torna più, poco cambia; è un tassello della nostra “struttura”. E mi viene in mente una descrizione fatta in un bel film della nostra “casa”, quella che prima o poi si trova, in senso lato (nella pellicola in questione, affettivo), in cui “il colore magari non è quello giusto, lo stile non è il massimo, ma è lì…”: di case se ne possono trovare tante, lontane, vicine, logiche o illogiche, desiderate o inaspettate, ma credo che la nostra terra, nel bene o nel male, impolverata o tenuta lucida a specchio, dimenticata o presente, amata o odiata, resterà sempre un pezzo di noi. Resterà sempre e comunque una nostra amica, del passato o del presente o del futuro poco conta.Già…la patria, la nostra terra, come una forte sotterranea amicizia: sono tutte dove sta il nostro cuore. E ogni distanza si annulla.

Nicola Matricardi da Terni

venerdì 18 gennaio 2008

diaframmare con noi #2

Dopo il bel post scritto da Francesco su Santa Severina era inevitabile che venisse sottoposta alla nostra e vostra attenzione una situazione alquanto assurda, che ormai si protrae da quasi due anni. Parlo della strada che una volta lasciata la ss107 dovrebbe portare allo stesso paese e che crea notevoli disagi di viabilità e percorribilità da e verso lo stesso.
Le foto che ci sono state inviate risalgono ad alcuni mesi fa, ma ad oggi l’unico cambiamento da segnalare è l’ultimazione della giuntura del ponte e null’altro.
Ho avuto modo di percorrerla in diverse occasioni ultimamente e ad esser sincera l’impraticabilità, soprattutto quando piove, è abbastanza evidente e “si sente” (la macchina concorda con me).

Ora mi chiedo come sia possibile una cosa del genere sia in termini di tempistica, circa il completamento dei lavori, sia in termini di provvedimenti non presi, tali da rendere maggiormente fruibile il raggiungimento del paese, in primis per le persone del posto.
Altra cosa che lascia abbastanza perplessi è che non vi sia alcuna segnalazione stradale in merito che avverta dell’interruzione o indichi strade alternative per chi viene da fuori e ne ignora l’esistenza. Abusivamente si percorre un tratto che non dovrebbe essere percorso (io stessa l’ho fatto), data la rimozione, da parte di ignoti, di quei massi di cemento che avrebbero “dovuto” bloccarne l’accesso.
Sembra di vedere e di riproporre sempre le stesse cose dalle quali scaturiscono in modo inevitabile e consequenziale sempre gli stessi discorsi che ormai credo abbiano stancato tutti. Il problema però è che siamo qui, per l’ennesima volta, a farli e rifarli e nel concreto quasi mai nulla cambia, anzi più che progredire si regredisce.
Ok che la Calabria è famosa per i ritardi abissali delle sue opere infrastrutturali, ma davvero dobbiamo consolarci, come dice un amico di Santa Severina scherzando ironicamente, che ci siamo con i tempi, anzi che si è in anticipo? Come stanno veramente le cose? Quali reconditi interessi in questi soliti e abissali ritardi? Solite domande che resteranno senza risposta e che non è dato sapersi, ma che a quanto pare in molti sanno, ma preferiscono tacere?


Maria Angela Pugliano

lunedì 14 gennaio 2008

energie #3

Ecco la “nuova energia"...il grande cantautore crotonese che non ha bisogno di presentazioni...Sergio Cammariere...


P.S. Approfitto di questo spazio per ringraziare Sergio, che con disponibilità e gentilezza ha voluto proporre per il nostro blog questo video, in cui sapientemente si fondono la sua bravura e il suo attaccamento alla città di Crotone.

Maria Angela Pugliano

mercoledì 9 gennaio 2008

piccole curiosità #2



Nel viaggio tra le piccole curiosità, ecco un altro luogo intorno al quale si intrecciano leggenda e realtà.
Percorrendo la SS 107, come non notare questa imponente montagna a noi tutti nota come la Timpa del Salto.
La leggenda vuole che un brigante, inseguito dai gendarmi, giunto in prossimità della punta della stessa montagna si accorgesse che l’unica via di scampo fosse quella di buttarsi da lì nelle acque del fiume che percorreva di sotto tutta la vallata. Naturalmente il tutto risultava alquanto rischioso e non vi era nessuna certezza circa un’eventuale sopravvivenza a tale impatto.
Così, affinché potesse uscirne indenne, recitò una preghiera votiva alla Madonna della Candelora: se gli avesse concesso la grazia salvandolo, in cambio, una volta messosi in salvo, avrebbe acquistato per sua Chiesa campane da accordo.
Ed eccole le campane da accordo della Chiesa della Madonna della Candelora di Altilia, piccola frazione di Santa Severina, che pare siano state regalate dal famoso brigante sfuggito ai gendarmi.


Maria Angela Pugliano

lunedì 7 gennaio 2008

interferenze #5


“L’ULTIMO SAMURAI”

Uscito nel 2003, il film è la storia di un capitano dell’esercito dell’Unione (Tom Cruise) che perde se stesso combattendo gli indiani da americano e ritrova la sua vera anima lottando il governo giapponese da samurai; di come “conoscere il nemico” ne può far capire le ragioni, far scoprire di lottare per i suoi stessi principi e, peggio, che il vero nemico è colui che ti sorride e ti siede accanto. Si conosce, così, il mondo di guerrieri che nell’immaginario collettivo generano terrore; ne viene rivalutata la cultura; ed è possibile capire (pur, forse, non condividendoli) anche i gesti più estremi. Si vede, quasi si può toccare, la loro realtà: il senso del dovere e del rigore, il coraggio e, sopra ogni altra cosa, l’onore. I samurai insegnano al capitano americano a vivere; a riconoscere la bellezza e il valore di ogni momento, ogni piccolo particolare. Sembra quasi un mondo a parte. Probabilmente lo è, ormai.
Il principale valore del film sta nell’insegnare che non esiste una cultura migliore delle altre: tutto sta nella sua interpretazione. Allo stesso modo, non esiste un popolo “buono” e uno “cattivo”: è il singolo a scegliere da quale parte agire.
Ottime le performance del cast, dai più esperti ai più giovani: un Tom Cruise come non si era mai visto prima (come probabilmente non si rivedrà in futuro); ed abbiamo potuto conoscere e ammirare la bravura e la bellezza di alcuni attori giapponesi, tra cui spicca Ken Watanabe (Katsumoto), candidato al premio Oscar® come “miglior attore non protagonista”.
Ottime la fotografia e la scenografia. Sceneggiatura forte e poco “americana”. Mozzafiato le scene di azione.
Per gli amanti delle colonne sonore, da sottolineare un Hans Zimmer (ai più noto per “Il Gladiatore”) particolarmente ispirato, compositore di musiche da ascoltare dalla prima all’ultima, splendida nota.
Consigliato a: chi ha la mente abbastanza aperta da saper ascoltare il punto di vista “dell’altro”, anche se non proprio politicamente corretto; e chi desidera assistere ad uno dei baci più belli della storia del cinema (sublime!).

Pioppa