venerdì 22 febbraio 2008

dietro l'angolo #3

SOLUZIONE VICINA?

Inerzia. Ecco la parola che ben definisce il negligente operato delle autorità competenti che finora non sono stati in grado di attuare interventi concreti di messa in sicurezza d’emergenza, bonifica e ripristino ambientale dell’ex area industriale della Pertusola.
Ormai nessuno fa più caso ai ritardi amministrativi e burocratici, alle omissioni o ai continui silenzi. Ma ad oggi ciò che desta maggiore preoccupazione è la persistenza, da anni, di una drammatica crisi ambientale, arrivata a livelli allarmanti e che non è più solo circoscritta al sito in sé, ma si è estesa a gran parte del sistema territoriale ad esso collegato.
Il quadro completo? Ai ben noti tassi di tumoralità, che sono, in modo esasperante, sempre più alti, si aggiungono nuove patologie attribuibili ai soliti agenti inquinanti. Tonnellate di metalli pesanti e di amianto continuano incessantemente ad avvelenare terra, acqua e aria: lo stesso sito antistante l’area industriale continua in modo alquanto superficiale a non essere recintato o comunque inibito al pascolo di greggi che, proprio con la produzione di latte e derivati, finiscono con l’introdurre nella catena alimentare fattori di rischio per la salute pubblica; si attesta nei fondali marini della zona una presenza di quei metalli che va oltre ogni limite; in più la fabbrica chiusa da anni è come se fosse una discarica all’area aperta dato che dentro e fuori la stessa si trova di tutto.

Tra Conferenze di Servizi valse a nulla, tra Accordi di Programma Quadro per la realizzazione di ambiziosi progetti, tra ping pong continui ai vertici circa la responsabilità dei ritardi, tra rescissione di contratto con l’associazione di imprese che si sarebbe dovuta occupare dell’ex Pertusola, SEMBREREBBE che a breve vi sia la tanto sospirata svolta per il risanamento e che si sia giunti alla fine di una vicenda che tiene banco ormai da tempo immemorabile.
Ma è davvero auspicabile una risoluzione? In molti alberga la rassegnazione, nessuna aspettativa per quella che è definita “la speranza della svolta economica” crotonese, circa un nuovo protagonismo sociale che porterà a riprogrammare lo sviluppo e che partirà proprio dal risanamento della terra, data la possibilità di valorizzare il patrimonio ambientale, paesaggistico e archeologico di quest’area. E sì perché nove anni di inconcludente commissariamento hanno solo paralizzato iter decisionali, amministrativi e altro ancora.
Ora ci si chiede: ma sarà veramente così? Che dire…….“l’ardua sentenza ai posteri”.

Maria Angela Pugliano

venerdì 15 febbraio 2008

dimensione natura #3

Ottimo esempio di organizzazione e di funzionalità, l’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto è il fiore all’occhiello del turismo provinciale.
Luogo dal fascino suggestivo in cui si mescolano sapientemente storia e natura, occupa una superficie di circa 15mila ettari di mare, che ne fa la maggiore d’Italia per ampiezza. Si estende nel tratto costiero a sud di Crotone per 36 km, tra Capo Donato e Barco Vercillo, e per una profondità di 100 metri verso il mare aperto.Dal punto di vista storico sono numerose le testimonianze sulla sua costa: dalla colonna dorica del tempio di Hera Lacina a Capo Colonna, databile intorno al VI secolo a.C., a Capo Cimiti, dove sono state individuate le strutture di una grande villa d’età imperiale, dotata di bellissimi pavimenti marmorei o a mosaico e di un impianto termale, per poi proseguire fino all’isolotto di Le Castella, che deve il suo fascino suggestivo all’imponente Castello Aragonese. Inoltre a partire dal XV secolo, come difesa per le incursioni turche, vengono costruite numerose torri che ancora oggi spiccano nel panorama costiero (Torre Vecchia a Capo Rizzato, Torre del Martello di Nao a Capo Colonna, Torre di Scifo a Capo Pellegrino, Torre Nuova a Capo Rizzuto).

Dal punto di vista naturalistico, invece, al suo interno sono state individuate tre zone: una di Riserva Integrale (A), una di Riserva Generale (B), una di Riserva Parziale (C), in cui sono regolate le modalità di balneazione, di pesca, ormeggio, ancoraggio, immersioni subacquee e navigazione.
Tutti i visitatori hanno la possibilità di “immergersi” nel favoloso mondo dei fondali dell'Area Marina Protetta ed osservare la flora, la fauna, i loro colori, le loro abitudini e scoprire alcune curiosità sulla loro preziosa vita all’Aquarium di Capo Rizzuto.

La struttura è composta da 22 vasche dalla capienza totale di 20.000 lt circa nelle quali sono stati ricreati, nel pieno rispetto degli organismi presenti, gli habitat marini. Nell’acquario, esiste anche un laboratorio didattico dedicato ai bambini, per diffondere la conoscenza della biologia e dell’ecologia del mare. La struttura è altresì dotata di una sala multimediale con uno schermo gigante per la visione di filmati inerenti il mare ed i vari aspetti dell’aquarium. Da rilevare, ancora la presenza di una vasca tattile, nella quale poter “toccare” con mano gli abitanti del mare. L’Aquarium è un Centro di Educazione all’Ambiente Marino studiato per essere il fulcro di una intensa attività educativa indirizzata soprattutto ai giovani. Esiste infatti una collaborazione fattiva con le scuole locali, per migliorare il processo culturale mirato ad una maggiore tutela dell’ambiente.
Inoltre, per i più, è possibile ammirare gli stessi fondali dell’A.M.P., dal vivo, anche a bordo di una motonave dal fondo trasparente. Queste escursioni sono ormai divenute una delle attrazioni principali della zona.
L’ultima annotazione da fare riguarda Calypso, la rivista ufficiale dell’Area marina protetta. Nata nell’estate 2002, stampata su carta derivata da alghe marine, è la prima rivista in Italia riguardante un’area marina. Il periodico, distribuito in tutte le scuole della regione Calabria, presente su tutto il territorio nazionale, inviato alle altre aree protette italiane, si fa portavoce di un mare ricco di curiosità scientifiche e culturali.

(le foto sono state prese dal sito della riserva marina www.riservamarinacaporizzuto.it)

Maria Angela Pugliano

lunedì 11 febbraio 2008

tutti a tavola #1

TUTTI A TAVOLA

Le tipicità enogastronomiche sono, senza ombra di dubbio, la punta di diamante dell’economia crotonese.
Da anni ormai vi è un costante e attivo impegno da parte dell’amministrazione provinciale nella valorizzazione di questo giacimento di sapori, con un’azione atta ad individuare un Paniere di prodotti tipici, originali, puntando all’identità del gusto territoriale, all’unicità degli stessi prodotti locali, alla tracciabilità, visibilità e riconoscibilità delle nostre produzioni.
Anche l’ultimo progetto denominato “Food Experience” nasce con l’intento di far conoscere, “al di là dei nostri confini”, i prodotti crotonesi, dando vita quasi ad una sorta di vera e propria “fabbrica del gusto pitagorico” con in programma numerose idee che vanno dal packaging, al marketing, fino all’allestimento di una vetrina permanente nella Capitale (per chiunque fosse interessato si svolgerà a Roma dal 13 al 20 febbraio la “Prima settimana della cucina pitagorica crotonese”, ospitata dal ristorante “Alla taverna dei quaranta”).
E sulla scia di questa nuova iniziativa, nel nostro piccolo, anche noi vogliamo far conoscere a voi, amici della rete, le nostre specialità, partendo dal Pecorino.

Formaggio crudo a pasta dura, semicotta, vanta la denominazione di origine controllata. Deve la sua tipicità al latte proveniente da pecore di razza Gentile allevate nel pascolo estensivo e naturale del Marchesato di Crotone. L’apice e la sua diffusione si registrano fin dal periodo del Regno Borbonico, quando il formaggio fresco iniziò ad essere stagionato per poter giungere sul mercato di Napoli dove era molto apprezzato.
La stagionatura dura mediamente da tre mesi a un anno. È riconoscibile dalla crosta giallo paglierino e dai caratteristici segni del canestro. Con il tempo il colore diventa più scuro.
Pasta compatta, qualche volta con leggera occhiatura, bianca nel formaggio fresco, propone diverse alternative, da quello fresco-stagionato, a quello pepato o, ancora, a quello bianco con “nduja”.
Il sapore è armonico quanto delicato. Col tempo diviene sempre più sapido e piccante. Frequente l'uso come ingrediente di varie preparazioni culinarie. Del tutto normale l'impiego come formaggio da grattugiare.

Maria Angela Pugliano

mercoledì 6 febbraio 2008

eppur si muove #2 - luoghi di confine #3

Mi sembra doveroso dare a questo nuovo post due dei titoli che hanno contraddistinto alcune precedenti rubriche del blog. Quasi un volere sottolineare in positivo alcuni cambiamenti attuati per quello che potrebbe essere definito il nostro nuovo “luogo di confine”, uno spazio prima abbandonato e ora, in parte, riqualificato.
Ricordate il primo post che ha dato avvio a "diaframmi-crotone"? Era incentrato sul mio paese, Rocca di Neto.
Vi prego di soffermarvi tra le vecchie foto su di una in particolare, quella riguardante un tratto di cinta muraria a due arcate.
Lì sorgeva quella che noi comunemente chiamiamo la “Rocca vecchia”, prima che venisse distrutta dal terremoto. Le uniche tracce visibili, all’indomani di quello stesso terremoto che ha raso al suolo un po’ tutto, sono quelle mura e la Chiesa Matrice raffigurata in un'altra foto sempre giù in basso. Ed è qui, in questo stesso posto, che sono dislocate le varie grotte. E sì, perché Rocca, al pari di Casabona e di altri centri del crotonese, possiede queste rudimentali strutture un tempo adibite ad abitazioni. Anch’esse, al pari di molte altre cose, non hanno mai goduto di molta considerazione.
Ecco perché a distanza di mesi, da quando sono stata lì la prima volta, non può fare altro che piacere, vedere e fare vedere a tutti voi l’inizio di un lavoro volto a valorizzarle.
Nelle foto fatte mesi addietro la situazione non era delle migliori, ma ad oggi sono stati costruiti dei sentieri, delle passerelle in legno ampiamente illuminate, per renderne maggiormente fruibile la visione.
Nulla da eccepire, ovvio, però a dirla tutta è inevitabile porsi alcune questioni:
- Ora è pur vero che i finanziamenti spesi riguardano solo una parte del progetto, ma perché inaugurare il tutto per poi richiudere il cancello, mancando ancora la messa in sicurezza della parte alta del tracciato e, soprattutto, chi possa accompagnare i visitatori e “raccontare” loro delle grotte?
- Perché in altri tratti messi a nuovo, e perfino recintati, continuano a pascolarvi le pecore?
- Perché non stimolare la fantasia dei visitatori, anche in termini di attrattiva, attraverso una sorta di riproduzione fedele delle vecchie abitazioni e degli antichi mestieri in alcune di queste stesse grotte, senza che si rimanga perplessi dinnanzi a strutture vuote da guardare semplicemente da lontano?

Maria Angela Pugliano

venerdì 1 febbraio 2008

interferenze #6


Giangùrgolo

Oggi quando si parla di maschere si pensa in primo luogo al Carnevale e qualche volta ai burattini. Tra la seconda metà del Cinquecento e soprattutto nel Seicento, epoca della “Commedia dell’Arte”, le maschere dominavano i palcoscenici dei teatri. In quel periodo il teatro si poneva al centro della vita sociale e culturale e le maschere rappresentavano o una determinata classe sociale o una regione d’Italia; si pensi a Pulcinella, Pantalone, Colombina, Balanzone, Arlecchino. Tra queste maschere divenne famosa in quel periodo anche quella rappresentativa della Calabria, Giangùrgolo, tenuta in grande considerazione al punto da essere rappresentata nei teatri di tutta Italia. La caratteristica principale che lo ha reso famoso e che lo distingue dalle altre maschere, è insita nel nome stesso; la fame, l’ingordigia, l’avidità insaziabile di cibo. Infatti, Giangùrgolo dal punto di vista etimologico vuol dire “Gianni-Golapiena” o “Gianni-Ingordo”; per soddisfare questa avidità è disposto a tutto, a fare diversi mestieri, ad arraffare e persino a rubare quando gli capita la buona occasione.Secondo molti studiosi, la maschera di Giangùrgolo rappresentava una parodia dei vari signorotti che avevano spadroneggiato in Calabria. E’ nata dal desiderio di mettere in ridicolo questi signorotti stravaganti, millantatori e vanagloriosi che nel voler imitare gli atteggiamenti degli ufficiali spagnoli, cadevano spesso nel ridicolo. Infatti, dal suo comportamento e dal suo modo di parlare, Giangùrgolo appare un nobile principe ricco, spavaldo, che incute timore e rispetto, mentre nella realtà è tutto il contrario; vanaglorioso e fifone che cerca in tutti i modi di defilarsi e svignarsela davanti all’avversario temerario. Giangùrgolo è anche un galante corteggiatore capace di rivolgersi con toni languidi dinanzi ad una bella fanciulla; tuttavia nel ruolo di corteggiatore cade spesso nel ridicolo, col risultato di venire deriso e schernito dalle donne corteggiate, a causa della voce stridula e del suo aspetto fisico sgraziato oltre che del naso lungo e grosso.Giangùrgolo porta sul volto una mascherina rossa con un nasone di cartone, in testa un alto cappello a forma di cono, di colore rosso, con una fascia rossa e gialla; il suo abbigliamento era costituito da una camicia bianca molto larga e senza colletto, un collettone bianco alla spagnola tutto pieghettato, un corpetto rosso e un giubbone a righe gialle e rosse con polsini bianchi merlettati, un larghissimo pantalone a strisce rosse e gialle allacciate sotto le ginocchia, scarpe di vernice nera con fibbia, cinturone e un lungo spadone con bandoliera.Purtroppo la maschera di Giangùrgolo oggi rimane solo un ricordo presente in qualche ricerca scolastica o in rarissime rappresentazioni teatrali. Dovrebbe a mio parere avere maggior spazio e maggiore considerazione non solo a livello locale ma anche a livello nazionale.

Pino Amoruso